Il mio viaggio in Giappone – 2° PARTE



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Il mio viaggio in Giappone – 1° PARTE

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Capodanno

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Come faccia non lo so proprio.

Seduta scomposta sulla poltrona, sfacciata, con le gambe incrociate di fronte alla stufa, il fumo che sale impertinente.

Mentre la fisso, senza che nemmeno se ne accorga, è come se intorno a lei fremesse un’aura incorporea. Parla. Di cose stupide. Di cose senza senso. Ha sempre qualcosa da ribattere, qualcosa da sostenere con fermezza o qualcosa da sussurrare con superficialità. Eppure tutti la ascoltano e pendono dalle sue labbra. Anche parlasse della disposizione dei cibi nel frigorifero, il suo modo di raccontare è affascinante. E anche quando sta in silenzio, è una presa di posizione. È libera.

Se solo sapesse quanto la invidio, quando lei non sembra nemmeno accorgersene.

Siamo così diversi.

Per me ogni silenzio è un peso. Goffo, impacciato, tento di scomparire. Imbarazzato mi sforzo di riemergere, ma ogni parola è gravosa, troppo calcolata. Ridicola, appena esce dalla mia bocca.

Poi di colpo, improvvisamente, senza nemmeno volerlo, faccio ridere. Ogni tanto, capita. E me ne compiaccio. Per giorni, mesi a volte. È stato un colpo di fortuna, mi dico, una manna dal cielo. Ho fatto il mio dovere. Per un po’, almeno.

Lei intanto prende la bottiglia e si versa un altro bicchiere di vino dorato. Domani starà male, ne sono certo, ma sembra non ricordarsene. Non sarò di certo io a dirglielo. Lei sa sempre cavarsela.

Il problema qui sono io. Cerco di incrociare il suo sguardo.

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Ma perché mi fissa così, come un bambino che cerca lo sguardo di sua madre? Probabilmente sta cercando aiuto, ma come potrei darglielo io? Io, che mi sento così alla deriva?

Non riesce a capire che non posso? Che sono io ad aver bisogno di lui?

E bevo e continuo a fare la cosa che so fare meglio, fare finta di niente.

Incrocio il suo sguardo e vorrei che mi sfogliasse, come un libro che non si è dimenticato di aver letto.

Che si infiltrasse dietro all’apparenza e comprendesse cosa nascondo tra la coltre di discorsi inutili.

Avvicinati, accarezzami, abbracciami e urla a tutti che valgo qualcosa. Dì loro che si sbagliano, che sono speciale. Che non vivresti senza di me. Che ti ho salvato, come tu hai salvato me. Che c’è sempre spazio sotto le coperte dove mi hai accolto. Fai di me una poesia, una canzone, scrivi il mio nome nell’umidità della finestra, ricordami perché vivo!

E parlo del frigorifero, ma vorrei che mi proteggessi.

I latticini vanno sempre in alto, dico. E mi sento così sola, abbandonata, annoiata. Nel posto sbagliato, al momento sbagliato, con persone sbagliate a parlare di cose sbagliate. A vivere una vita sbagliata. Come se ci fosse altro che non ho avuto il coraggio di raggiungere.

Le verdure nel cassetto in basso. Ho paura, capisci? Non sono così forte come do a vedere. Anzi, credo di aver sbagliato tutto.

Le uova non vanno mai nello sportello, anche se così crediamo tutti. E non ho più emozioni, né passioni, solo giorni grigi, piatti. Non scrivo più, non disegno più, non fotografo più, non amo più. Apatia. Inerzia.

In fondo è una questione di temperatura.

Così piano piano ho perduto tutto e ho iniziato a sentirmi di nuovo vuota, inutile.

Guardami! Lo vedi come sto affogando in questa melma viscida? L’unica cosa che posso fare per non lasciarmi andare, per non affogare inerme, è tenere la bocca fuori per respirare!

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I WANDERED LONELY AS A CLOUD

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I wandered lonely as a cloud

that floats on high o’er vales and hills,

when all at once I saw a crowd,

a host, of golden daffodils;

beside the lake, beneath the trees,

fluttering and dancing in the breeze.

 

Continuous as the stars that shine

and twinkle on the milky way,

they stretched in never-ending line

along the margin of a bay:

ten thousand saw I at a glance,

tossing their heads in sprightly dance.

 

The waves beside them danced; but they

out-did the sparkling waves in glee:

a poet could not but be gay,

in such a jocund company:

I gazed – and gazed – but little thought

what wealth the show to me had brought:

 

for oft, when on my couch I lie

in vacant or in pensive mood,

they flash upon that inward eye

which is the bliss of solitude,

and then my heart with pleasure fills,

and dances with the daffodils.

 

(William Wordsworth)

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MORSI

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Noto, nella mia generazione e ancora di più in quelle successive, in generale, poca volontà di ribellione, poca curiosità e un’ignoranza preoccupante. Camminano con lo sguardo basso, fisso sui propri piedi, non rischiano, non osservano, non escono dalle strade battute. Non si rendono conto di ciò che li circonda. Sembrano senza testa, senza interessi, corpi vuoti e menti chiuse. Non so come riempiano il proprio tempo. Non leggono libri o giornali, non vanno al cinema, alle mostre, non ascoltano né musica né gli altri. Non escono dagli schemi, non si interessano di niente se non di ciò che gli viene imposto dalla cultura dominante. Conoscono e si informano poco o, se lo fanno, lo fanno con i paraocchi dei cavalli, con lo sguardo fisso. Ciò è sconcertante soprattutto per chi si occupa di arte, per gli artisti o pseudo tali. Non si può essere architetti senza conoscere la storia dell’arte, non si può essere designer senza conoscere la scultura, non si può pretendere di essere dei fotografi senza aver mai letto un libro, non si può essere pittori senza conoscere il cinema e via dicendo. Ogni cosa è connessa, tutto si mescola. L’arte è contaminazione. L’arte è osservazione, è ispirazione. E soprattutto, perdonatemi, ma per essere artisti bisogna anche avere una determinata indole, esserci portati insomma. Si possono fare tutti gli sforzi del mondo, ma qualcuno dovrebbe essere avvertito. A qualcuno dovrebbe essere consigliata un’altra strada. Non tutti possono vincere medaglie d’oro, come non tutti possono essere artisti. Ci vorrebbe più meritocrazia ecco.

L’arte non è per tutti.

L’arte non può essere semplice.

Amare l’arte e vivere di e per l’arte significa ben altro.

Significa innanzitutto rinuncia.

Si deve rinunciare ad una vita normale, a notti tranquille, agli amici, alla famiglia, al divertimento spensierato. Si investono tempo, soldi e fatiche. Si passano momenti duri e si è costretti a rialzarsi da soli.

L’arte è studio.

Si studia non perché ci è imposto. Non significa imparare a memoria i libri di scuola o imitare le idee dei professori, ma anzi, imparare a criticarli. Significa essere curiosi. Significa anche studiare se stessi, le proprie possibilità e i propri limiti.

Significa rischiare.

Significa affrontare le proprie paure e i propri fantasmi.

Perciò l’arte è, soprattutto, sofferenza. Si soffre perché non si è compresi, si soffre perché non si è apprezzati, si soffre per la mancanza di spiriti affini, si soffre per mancanza di mezzi, soldi, opportunità. Si soffre perché non si è mai soddisfatti del proprio lavoro, si soffre perché non si è mai abbastanza colti, si soffre perché non si riesce a smettere di pensare, si soffre perché la stessa sensibilità che ci rende artisti o che ci fa amare l’arte ci rende anche vulnerabili, insicuri, irrequieti e tremendamente vicini alle sofferenze del mondo.

L’arte è ribellione.

Non può essere accettazione.

L’arte è osservazione costante.

L’arte non è sicura.

L’arte è necessaria.

L’arte non può e non deve mai essere confortante.

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MUSIC

 

Ma che cosa sei tu, essenza inafferrabile?

Sei l’infinito.

Sei il sublime.

Sei ciò che mi congiunge all’immortalità.

Sei quell’istante eterno in cui tutto sembra compiuto, costruito meccanicamente perché resista per sempre, nella memoria.

Piccole impressioni che formano un tutto.

Sei quella sera d’estate, quando  il vento smuoveva i peli del suo braccio dorato. Quel viaggio che sarebbe potuto durare in eterno.

Sei il sole di questo mattino d’inverno che mi infiamma il viso di tiepidi raggi.

Sei sinuosa, quando pulsando mi penetri nel profondo. Mi inondi ed esplodi, in un orgasmo di echi e armonie.

Mentre mi accarezzi potrei accogliere la morte.

Mentre mi scuoti, sarei pronta a sfidarla.

Un brivido

che si forma freddo sulla schiena

si diffonde nei nervi,

nelle vene

e nei tessuti muscolari.

Come una scarica  elettrica.

Mi commuovi.

E in un attimo

appartengo al tutto.

Sono la natura stessa.

Sono terra

e acqua.

Sono vento

e sabbia.

 

E in un attimo sono nuda,

incurante dell’effimero scorrere del tempo,

aspiro il gelo dalle narici,

sbriciolo la terra con le mani,

esamino la corteccia umida degli alberi

e bramo l’assoluto.

Sono, l’assoluto.

 

E vi maledico per avermi concepito

così maledettamente sensibile ad ogni sofferenza e ingiustizia altrui.

Ogni tormento, ogni pena mi trafigge.

Assimilo ogni dolore

e esso mi contamina,

come un morbo.

Marcisco.

 

 

Ma vi benedico per avermi concepito

così vicina ad ogni cosa di questo mondo,

così sensibile ad ogni gesto, ad ogni espressione, ad ogni nota e ad ogni suono.

Cosicché tutto si riempie di fascino.

Perfino i muri massacrati delle città

sono il dipinto di un artista.

Perfino i camini neri delle fabbriche abbandonate

sono gli strumenti di una dolce melodia.

 

E mi elevo,

appartengo all’universo.

 

Ma in realtà

vorrei solo poter smettere di rimuginare su tutte queste cose inutili

e abbandonarmi al sonno.

Perché sembra

che non ne sia più capace…

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DRIFT AWAY

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Capitano dei momenti nella vita in cui viene da domandarsi come mai dovremmo appartenere ancora a questa società malata.

In cui il livello di sopportazione del genere umano arriva a livelli da capogiro.

A volte la colpa è data dalla civiltà tutta e a volte solo dalla (sempre più piccola) cerchia con cui siamo costretti a rapportarci.

Così ecco che mi accorgo tutt’a un tratto di essere circondata da paranoici, inappagati, maniaci di protagonismi esagerati, teatranti disturbati di psicodrammi istrionici, boriosi senza talento alcuno se non quello di un’esagerata presunzione.

Vorrebbero forse che venissi loro incontro, che li capissi, che mi piegassi alle loro ansie e frustrazioni? Che partecipassi alle loro dolorosissime tragicommedie quotidiane pentendomi col capo chino della mia sporca condotta?

Tutto ciò al contrario non fa che provocarmi disprezzo e indurmi ogni giorno di più all’eremitismo.

Perdonate la mia critica forse troppo eccessiva.

Purtroppo il vostro spettacolo non mi è piaciuto affatto.

La sceneggiatura mi è apparsa un po’ debole e piatta.

E  la recitazione poi…così esasperata e buonista…

 

Credo che mi lamenterò alla cassa.

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MEMENTO MORI

 

 

E tutta questa gente no, che corre freneticamente di qua e di là, che sale al volo sugli autobus in corsa, che si preoccupa di andare a comprare il dessert per la cena con gli zii, che anticipa appuntamenti, che segue corsi di violoncello, che ripassa per gli esami di semestre, che ritorna sfiancata dalla partita settimanale di calcetto o dagli allenamenti di kung fu…tutta questa gente ecco, mi domando se anche loro ogni tanto pensino al fatto che tutto questo non è che un gioco temporaneo…chissà che anche loro ogni tanto non rimangano folgorati e pensino “Ah già, cazzo, è vero, non siamo mica eterni! Mica ci pensavo più al fatto che prima o poi dovrò morire!”

E allora penso al fatto che tutte queste paure, insicurezze, ansie che uno ha, insomma, che tutto questo non è che una perdita di tempo e di energie, perché in fondo l’unico scopo nella vita è sopravvivere e farlo nella maniera migliore. Mi dico che preoccuparsi è inutile, nonché stupido, perché tanto prima o poi moriremo, e non c’è scampo, e dobbiamo pur abituarci all’idea.

L’unica cosa che possiamo fare è vivere al meglio, vivere di amore e di passioni, preoccuparsi solo di mantenere quello che amiamo e che ci fa stare bene…e di difenderlo a denti stretti. Che insomma l’unico modo per prepararsi a una cosa così devastante come la morte sia affrontarla con la consapevolezza di aver vissuto una vita felice, e non ci vuole mica di aver studiato filosofia o chissà che altro per capirlo.

E che in fondo, per vincerla quella fottuta partita a scacchi, bisogna essere pronti a perderla.

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EMPATHY

 

 

 

Mi nutro e m’innamoro di ogni cosa

e ogni cosa mi trasuda dalla pelle.

Ogni tuo sguardo

è il mio sguardo.

Ogni tua lacrima

è il mio dolore,

ogni tuo conforto,

il mio più intenso sostegno.

 

 

Come un congegno mnemonico,

registro ogni brivido,

ogni dettaglio,

ogni forma,

tutto mi appartiene.

Risucchio sentimenti e maleodoranti illusioni,

frammenti,

e brandelli del mio tempo.

 

 

Vomito,

ogni orrore e vergogna dei miei simili,

e mi commuovo,

e tremo,

di fronte alla purezza dei loro frutti.

 

 

Così mi perdo

nelle strade solitarie di periferia,

ingoiando il marciume delle fabbriche abbandonate,

nuotando nel tanfo putrido dei vicoli,

girovago,

e liscio i muri rancidi delle stazioni,

lungo i binari,

osservando i treni dissolversi nell’infinito.

 

 

Ogni tua destinazione

è la mia destinazione,

ogni tuo addio

è il mio addio.

 

 

Stramba creatura,

fluttuo nel vuoto dei miei giorni,

ogni cosa mi violenta,

un’ anima che non irrompe,

incapace a svelarsi,

e impossibile da penetrare.

 

 

Ogni tua insoddisfazione

è la mia sofferenza,

ogni tua paura

è la mia .

 

 

 

 

Si dice che di una persona se ne capisca il valore solo una volta che si è persa.

Io ho capito appena ti ho incontrato

quanto mi eri mancato.

 

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DIRTY MUD

 

 

L’aria agitata smuoveva le persiane

lui sorrideva

e ti penetrava gli occhi,

tu gli accarezzavi i capelli,

seta soffice.

Poi ha voltato lo sguardo

e hai iniziato a trovare difetti,

a dire che il tempo si stava guastando,

che il tessuto delle lenzuola ti irritava la pelle,

che i jeans ti stringevano la vita.

Ha voltato lo sguardo

e tu sapevi già a cosa stesse pensando,

perché tu sai sempre tutto,

conosci i pericoli dei rischi

e le fobie ti stringono la cinghia.

Non è così?

una nullità in un attimo

confusa

delusa

impotente

inadatta.

Creare drammi,

ingerire angosce,

partorire guai,

minacciare la quiete.

Lui ti abbraccia

poi ti stringe con forza i polsi

e ti ordina di rimanere.

E’ solo una stupida fantasia, dice,

una finzione,

un’invenzione,

sporca melma.

 

E’ stato come essere avvolta in una coperta calda

dopo un tremendo acquazzone.

Credevi di non cercare nulla.

Non era protezione,

né di certo amore.

Forse un aiuto per migliorare?

Qualcuno che non ti lasciasse andare.

Qualcuno che vedesse in te quello che tu non puoi.

Troppi squarci nel petto ancora da spurgare,

ferite da cicatrizzare.

Ed è stato un boato improvviso,

come perdersi in una strada non battuta.

 

Come elettricità fluisce nei nervi

e non riemerge.

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